A Ghost Story – Spettrali nostalgie

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Scrivere di questa pellicola sarà davvero complesso, per due semplici ragioni: la storia è delicata e disarmante, la morte sembra un cigno che lentamente chiude gli occhi e scompare. La seconda motivazione è il mio complicato – spesso controverso – modo di affrontarla, in parte anche di “subirla”.

Da un lato il dubbio è lecito, è uguale per tutti – “Perché mi viene portata via quella persona? Perché non si può crescere, invecchiare e morire insieme?” – dall’altro lato, invece, mi chiedo la ragione per cui la civiltà occidentale si ostini a trasmettere soltanto tradizioni stantie, calpestando chi prova a scegliere un approccio differente.

Nella cultura orientale si celebra la vita anziché la morte, aver avuto l’opportunità di conoscere quell’individuo è più importante e significativo della sua perdita.

Questo non rende meno doloroso il non poterla rivedere mai più, ma è pur sempre un modo di far vivere qualcuno attraverso noi, una volta ancora, di celebrare l’essere nato e aver vissuto, di poterlo appendere alla giacca dell’anima, come una medaglia preziosa.

Magari è anche il fatto che – quando dovrò fare i conti con quella vecchia stronza – vorrei si celebrasse una festa, una sorta di “rituale”. Vorrei vedere gli stessi sorrisi che ci hanno accompagnato in vita, come se avessimo l’occasione di percepirli per un’ultimissima volta (pur correndo il rischio di farla sembrare una scelta abbastanza egoistica).

Detto ciò, imbocchiamo il vicolo giusto e immergiamoci nella “Storia di un fantasma”.

Trama

C (Rooney Mara) e M (Casey Affleck) sono una coppia di sposi come tante altre, lui è un compositore e musicista emergente, di lei, invece, sappiamo soltanto che ha un impiego, che svolge un qualche tipo di attività, ma lo sceneggiatore ha ritenuto opportuno non rivelare di più.

La loro vita insieme trascorre tranquilla tra le mura di una casa in periferia situata a Dallas, in Texas, così come il loro rapporto: è un lento sbirciare nella serratura della loro intimità, nei lunghi silenzi, nei momenti di crisi e in quelli di forte ispirazione.

Tra i due avvengono davvero pochi scambi, uno dei quali è caratterizzato dal forte desiderio di cambiamento di M, la quale vorrebbe soltanto traslocare in un’altra abitazione e da C, riluttante all’idea di lasciare quel luogo perché – per qualche inspiegabile ragione – si sente profondamente legato ad esso.

Purtroppo una tragica mattina di un giorno qualunque, C perde la vita in un incidente stradale. Una morte improvvisa su quel vialetto che costeggia casa. Eppure, nonostante il suo cuore si sia fermato, la sua anima continua ad esistere, abbandonando quel corpo esanime e iniziando a vagare tra le pieghe di un semplice lenzuolo bianco.

C è un fantasma e nessuno può vederlo o percepirlo.

M, devastata dalla perdita del marito, si ritrova costretta ad affrontare tutte le fasi del lutto: dolore, rifiuto, rabbia, rassegnazione e, infine, accettazione.

Il fantasma di C è solo uno spettatore passivo di fronte alla sofferenza dell’amata. Non può far nulla. Non può nemmeno abbandonare quelle familiari mura domestiche quando lei deciderà di ricominciare da capo.

La scelta di una giovane vedova, di colei che un tempo era sua moglie, la sua complice, la sua amante, lo costringerà ad assistere al frenetico susseguirsi di volti che non conosce, storie che non gli appartengono; protagonista di ricordi nei quali si farà involontariamente intruso, osserverà momenti nei quali non potrà più vivere. Mai più.

C dovrà restare per sempre uno spirito errante oppure alla fine riuscirà a trovare la pace eterna?

Beh, questo dovrete scoprirlo da soli.

La sceneggiatura e tanti piccoli tesori nascosti

Spiegare il senso di un’opera – qualunque essa sia – significa in parte plagiarla, poiché limitarsi a descriverla così com’è, nella sua interezza, e mai come la si percepisce, è difficilissimo.

Lo so, qui non si parla in astratto.

Questa è una storia che cercherò di “sviscerare” come meglio posso, quindi… avanti tutta!

A Ghost Story” (Storia di un fantasma) è un titolo semplice quanto evocativo, racconta quel momento in cui lo spazio e il tempo sembrano fermarsi in un limbo e noi ci ritroviamo in una bolla.

Vien da sé che la pellicola del portentoso David Lowery non rientra nel genere horror, bensì in quello drammatico, anche perché ci regala un sacco di sensazioni contrastanti, pronte a prenderci a martellate sul costato e dentro al petto.

Ed è giusto così, il cinema capace di stupirti deve saper strappare qualcosa di forte, Lowery ci riesce soltanto se glielo concedi e C non è soltanto un triste e vagamente caricaturale fantasma SOLO se tu non lo guardi in quel modo (riprenderemo questo punto tra poco).

Nulla è lasciato al caso. Infatti, la scelta del regista di utilizzare un rapporto d’aspetto (aspect ratio) – ossia il rapporto tra altezza e larghezza delle immagini – 1.33:1 (o 4:3) con gli angoli arrotondati, ovviamente, non è casuale.

Il tempo diventa una prigione nella quale restiamo intrappolati (C non può abbandonare la casa) e, soprattutto, le immagini (proprio come i ricordi, le fotografie) suscitano delle emozioni, ci riportano indietro nel tempo, a quel cinema muto che non aveva bisogno dei suoni della voce per farsi comprendere.

Per tale ragione incontreremo soltanto poche essenziali battute, tutto il resto viene affidato al corpo, agli sguardi, alla gestualità, al linguaggio non verbale, agli ambienti che si fanno sempre più claustrofobici, asfissianti, insopportabili.

Il rumore invade la stanza, nonostante l’accurata selezione delle colonne sonore.

Quello di cui vi parlo non è un «film di paura», è spaventosamente reale e vicino all’animo umano.

Leggendo vari articoli (se gli spoiler non vi fanno altrettanta paura un po’ più avanti capirete anche la ragione di questa mia ricerca), mi sono imbattuta in un’analisi molto accurata e approfondita del film.

Tra i vari aspetti che venivano menzionati, era presente un’analogia tra le rappresentazioni teatrali settecentesche e la figura del fantasma, poi “ridicolizzata” in epoche più moderne, soprattutto attraverso i testi destinati ai più piccoli. A ben pensarci, ho riscontrato che non soltanto molte opere evocano tale figura come il corpo senza vita ricoperto da un sudario, non soltanto richiamano un simbolismo legato al concetto di anima – il quale si ritrova in culture, religioni, antichi ritualismi e co. diversissimi tra loro – ma la pongono anche al centro di tantissime credenze popolari, alcune delle quali sopravvivono ancora oggi.

E non bisogna nemmeno andare troppo lontano! Provate a chiedere a più persone se credono ai fantasmi e ascoltate la risposta.

Insomma se dovessi dirla con parole semplici… adesso capite perché batto queste lettere sul pc con tanta passione? Anzi, capite perché poi mi si apre tutto un mondo che mi fa “svisionare male”?

No, che cazzo dico. Mi fa prendere benissimo. È il motivo per cui ho bisogno di sapere, di conoscere, di leggere, di guardare, di muovere le gambe e camminare, di catapultarmi altrove ogni tanto.

Di scrivere, di sentire.

Io mi sento viva nel momento in cui la fiamma si accende e ho voglia di dire ogni piccola cosa. Poco importa se poi altri non hanno voglia di fermarsi. Mi basta farlo, basta tentare. L’importante è non arrendersi a niente, saper continuare a camminare.

Proprio come M e, infine, anche C.

Tornando a noi, vorrei sottolineare anche come lo sguardo dello spirito di C, sia formato da due semplici buchi, direzionati verso il basso.

La perdita dell’amore e dei sentimenti dei due protagonisti non vien meno, è parte del tutto. Così come il ricordo capace di sopravvivere mentre tutto il resto cambia e va in pezzi.

In fondo amare e perdere non significa smettere di amare, quanto lasciare pezzi d’amore in un ricordo.

La prospettiva di questi due giovani era una vita insieme fino all’ultimo respiro, finché morte non li separi, e la promessa non è venuta meno. La morte ha rubato C ad M e lei, dopo tanto dolore, ha fatto l’unica cosa che avesse senso: tornare ad amare la vita.

Le persone che abbiamo amato diventano pezzetti aggiuntivi del nostro cuore.

Al tempo stesso un luogo intriso di ricordi può diventare prigione, appunto, una torre d’avorio del passato che non vogliamo abbandonare (il dispiacere di C nel lasciare la casa) perché il presente sarà doloroso e il futuro incerto.

Attenzione! Momento spoiler-ino!

Beh, poi non dite che non vi avevo avvisati!

Dunque…

Temporeggio un po’ per non farvi leggere qualcosa per sbaglio.

Riprendendo il filo del discorso…

Ad un certo punto ci imbattiamo in una scena molto particolare che ci farà letteralmente spellare vivi dalla curiosità: M scrive qualcosa su un fogliettino e lo nasconde all’interno di una delle pareti della casa.

Indovinate un po’?

Si tratta di un piccolo (reale) gesto simbolico del regista.

«L’idea di lasciare in un posto un piccolo ricordo di te e per te è qualcosa che mi ha sempre affascinato. Il semplice sapere che è lì ti fa sentire più a casa e crea una maggiore connessione con gli spazi che vivi. Cerco sempre un modo di rendere uno spazio più ‘mio’. Certo, puoi decorare le stanze o cambiare la carta da parati, ma sono cose che svaniscono quando traslochi e qualcun altro prende il tuo posto. Ma lasciarti dietro una traccia e fare in modo che una parte di quel luogo sia per sempre legato a te è qualcosa che ho sempre amato.»

Lowery alla fine ci mostrerà che all’interno il biglietto era vuoto, il fantasma di C non deve apprendere nulla, non c’è nessun significato nascosto, nessun segreto da svelare.

Ciononostante il regista chiederà, non a M, bensì a Rooney Mara, di scrivere qualcosa di molto privato su quel biglietto e lei acconsentirà a farlo.

Sul set nessuno scoprirà mai il contenuto di quel foglietto perché la casa che vediamo verrà, infine, demolita.

Le colonne sonore del film

I lavori di David Lowery sono fortemente influenzati (come avrete intuito) da una dirompente emotività, la quale a sua volta è strettamente legata alla musica.

Prendendo ancora una volta come esempio “A Ghost Story”, scopriamo che in assenza di parole, è essenziale avere degli elementi sonori capaci di amplificare ogni singola immagine.

Tra l’altro ricordiamo un altro dettaglio essenziale: C era un musicista, non è un caso se in una scena M proverà a cercarlo proprio dentro le sue composizioni.

Ed ecco venir fuori titoli come “I Get Overwelmed” degli abbastanza giovani Dark Rooms.

Ogni riferimento a cose o persone non è puramente casuale in quanto Daniel Hart, frontman della band, è stato il solo ed unico compositore di tutte le colonne sonore dei film di Lowery.

In questo caso specifico sonorità malinconiche – a tratti edeniche per la presenza di cori o voci liriche – opprimenti e incostanti fanno da padrona all’intera opera.

Le considerazioni del caso (Se mai ne servissero altre)

Dal punto di vista della narrazione la storia è davvero molto molto semplice, così semplice da sembrare un ripetersi di situazioni già viste.

È una cazzata.

Insomma cerchiamo di capirci, “A Ghost Story” non è un film per tutti.

Può essere considerato di una lentezza esasperante o di una crudele e disarmante delicatezza nel raccontare una perdita.

Quel fantasma è il ponte di congiunzione tra la morte e la vita, l’una non può escludere l’altra.

È un film devastante che forse non avrei mai scelto di vedere di mia spontanea volontà (è stata la locandina a catturare la mia attenzione) perché mi ha fatto emozionare, soffrire, piangere, ricordare, affogare e poi, di nuovo, respirare.

Perché mi ha ricordato che la vita – così come la morte – non puoi e non devi combatterla, ma soltanto affrontarla.

Vorrei dire tanto, troppo… ma nessuna parola può esprimere appieno il senso di questa pellicola, è un’esperienza.

Bisogna conoscere la storia di un fantasma, essere parte di lui e poi tornare dentro noi stessi, diversi.

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