Maniac – Nei confini della psiche umana

Facebooktwitterpinteresttumblr

Se non erro mi sono imbattuta in Maniac l’anno scorso e, sorprendentemente, a distanza di 365 giorni fa ho ancora in mente il quadro generale della sua storia.

Non tutto tutto, eh!

Giusto lo stretto indispensabile per tirare fuori una recensione decente (e forse farvi pure venir voglia di guardarla).

La trama

 

 

 

 

 

 

 

Il fascino di questa miniserie norvegese risiede senza dubbio nel suo essere “un po’ stronza”, poiché mira ad avere una costruzione narrativa assai complessa e a tratti assurda. Ora lenta, quasi soporifera, ora troppo veloce.

Mi spiego meglio.

I protagonisti sono Owen Milgrim (Jonah Hill), un giovane sociopatico a cui è stata diagnosticata una leggera forma di schizofrenia, e Annie Landsberg (Emma Stone), una ragazza che non ha mai superato la scomparsa della sorella minore, restando così incastrata nella spirale senza fine delle dipendenze.

Non è tutto: Owen proviene da una famiglia tanto facoltosa quanto incapace di provare empatia verso gli altri; il prestigio sociale e la necessità, quasi morbosa, di eccellere in ogni cosa sono elementi imprescindibili del (loro) vivere quotidiano.

Un fardello troppo pesante da sostenere genera in lui delle psicosi, pronte a mostrargli un personaggio che, di volta in volta, gli fa credere di dover salvare il mondo.

Annie invece potrebbe essere definita come il “risultato” di un forte trauma, ossia la morte della sorella e di conseguenza deve convivere anche con il senso di colpa e di impotenza.

Cosa fare quando l’unica cosa che riesci a sentire è solo un infinito dolore?

Trovare un anestetico.

Non importa se sia l’alcool, la droga, una relazione tossica o altro. L’importante è sedare il tuo male. E lei cerca di fare proprio questo. Sopravvivere al suo male.

Fatte le dovute presentazioni può entrare in scena la Neberdine Pharmaceutical Biotech, un’azienda che promette di “aggiustare” chiunque – attraverso una cura sperimentale a pagamento – in soli tre giorni!

Maniac è stato creato da Patrick Somerville e diretto da Cary Joji Fukunaga, un universo dispotico, doloroso, alienante…

Ti prende per i capelli e ti trascina dentro la sofferenza altrui, quasi come se ti volesse costringere a tirare fuori il tuo mostro interiore, quello messo a tacere molto tempo (e altrettanto dolore) fa.

La serie mette sulla bilancia fragilità umane e contraddizioni.

C’è di mezzo anche un’intelligenza artificiale chiamata GRTA che darà qualche grattacapo agli addetti ai lavori, ma non voglio svelarvi altro.

Ergo non andate a leggere lo spoiler-ino prima di averla vista!

Le considerazioni del caso

 

 

 

 

 

 

 

 

Da appassionata e divoratrice di serie tv vedo il pendolo del tempo oscillare costantemente tra il passato e il futuro, sembra proprio di osservare un retro-futurismo capace di attenzionare anche il nostro tempo.

Di sicuro in Maniac appare tutto abbastanza esasperato e sanguinante, forse troppo. Eppure è indispensabile attraversare un male che non possiamo toccare per potercene poi liberare, per sentirci un po’ più liberi, per prendere ancora per mano la vita e stringerla forte.

Ma probabilmente è soltanto una delle tante chiavi di lettura che ci vengono messe a disposizione (anzi, di questo sono abbastanza certa).

Gli intricati intrecci tra Annie e Owen a tratti (ovviamente) risultano “interrotti” dalla presenza di altri personaggi – sempre marginali rispetto a quei due – dal personale medico e persino da GRTA (ebbene sì!).

In conclusione mi pare doveroso spendere due parole anche sulla versatilità della storia che in certi momenti mescolerà generi su generi in un crescendo di surrealismo e giocosità.

Un po’ spiritoso, un po’ drammatico, un po’ fantasy, un po’ grottesco e così via…

Inoltre i viaggi onirici che i protagonisti intraprendono attingono intenzionalmente dalla psicoanalisi e in particolar modo dai sogni.

Non potendo svelare troppi dettagli posso uscirne illesa solo così: l’assunzione delle pillole somministrate alle cavie volontarie, e di conseguenza le loro visioni, corrispondono (nella vita reale) ad un terapista con il suo paziente. Lavorare sulle varie fasi psicoemotive per raggiungere la guarigione (negazione, rabbia, elaborazione, dolore e accettazione).

Ah, che sbadata.

Quasi dimenticavo…

“Maniac” si traduce in “maniaco”, in inglese però indica una persona mentalmente disturbata (ma non per forza  pericolosa).

Spoiler-ino

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Passate di qua solo dopo averla vista altrimenti non vale!

Dunque, ora posso sfogarmi un po’.

Innanzitutto adoro e sottolineo ADORO il modo in cui la mente di Owen incontra quella di Annie e viceversa, un po’ come il modo in cui i due personaggi sembrano essere necessari l’uno per l’altra, due menti sconosciute che si esplorano così intimamente da finire in un legame (probabilmente) indissolubile, destinato a resistere nel tempo.

Il dottor James Mantleray (responsabile del trial clinico) insieme alla sua assistente, la dottoressa Fujita, sembrano essere più aggrovigliati dei loro stessi pazienti.

Lui è un inguaribile nevrotico con visibili problematiche alle spalle (tra queste una madre dispotica), sempre pronte a tornare per tormentarlo, lei fuma come se non ci fosse un domani e non esce mai dai laboratori.

Chi cura chi? Sono dottori, pazienti inconsapevoli o entrambe le cose?

E poi c’è lei, GRTA, che ad un certo punto viene colta da un’improvvisa crisi emotiva.

Quasi a voler ricordare il tentativo di alcuni artisti (e non) di dare a tutti i costi un’anima alle macchine o, ancora, sottolineare la loro – ormai incessante – presenza nella nostra quotidianità.

Maniac non è perfetta e, come ogni altra serie tv, presenta qualche piccola sbavatura ai margini. Ciò non toglie che si tratta di un viaggio visivo da non perdere.

Insomma potevo pure ridurre ogni discorso a un…

Serie consigliata, visione fortunata!

(Ma poi non ci avrei sentito gusto.)

Facebooktwitterpinteresttumblr