Parlami d’amore (pag. 123 – 128)

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Parlami d'amore

Un’esitazione. Poi solo il suono sordo della cornetta riagganciata.

 

Se adesso tutto si potesse fermare.

Se adesso il mio cuore la smettesse di battere a questa velocità.

Se adesso la smettessi di sentirmi inadeguato.

Se adesso finalmente mi sentissi pronto.

Se potessi essere trasparente.

Se potessi essere invisibile.

Se potessi essere una presenza che esiste solo per te.

Se semplicemente la smettessi di vergognarmi per quello che sono.

Forse adesso io non sarei qui. Chiuso in questo bagno. Circondato da specchi.

Specchi che mi rimandano la mia stessa immagine. I miei occhi che mi guardano. I miei giudizi che si moltiplicano. I miei difetti che si esasperano. I miei profili peggiori e i miei profili migliori che si osservano nudi allo specchio.

Chiuso nel cesso di un mega-attico del centro di Roma mi guardo e mi sento nudo. Ormai incapace di mentire. Incapace di nascondermi e di rimanere nell’ombra.

Troppo avanti per tornare indietro e ancora troppo incerto per aprire questa porta.

Se adesso io potessi aprire questa porta…

Ti accorgeresti che non riesco a confondermi con gli altri.

Ti accorgeresti dei miei occhi smarriti.

Vedresti un’anima pesante, schiacciata da troppe paure.

Ali che non sanno volare.

Una melodia che non ha ritmo.

Un atleta che arranca.

Un corpo nudo del quale ridere.

Sentiresti pensieri che si contraddicono.

E convinzioni che si smontano.

Ascolteresti una voce stonata.

La voce di un vecchio che vuole tornare bambino.

E di un bambino che si sente vecchio.

E se adesso aprissi questa porta avresti voglia di vedere tutto questo?

La musica che viene da fuori è talmente forte che assorda i miei pensieri e della gente dall’altra parte della porta preme per entrare.

Non mi troverai mai.

Ti troverò.

E dall’altra parte ci sei tu. Tu che vedi senza essere vista.

Non so dove sei ma verrei a cercarti in capo al mondo se dovessi.

Me lo ripetevo mentre salivo le scale di un antico androne.

Gradino dopo gradino mi avvicinavo alla porta di un lussuoso appartamento. Mi incoraggiavo a farmi avanti mentre, solo, nel buio di quelle scale iniziavo a capire che sarei dovuto venire a prenderti proprio lì dove non so stare. Nel bel mezzo della vita.

Sentivo la vita, il rumore, il frastuono. La musica. La gente. La sentivo ancor prima di varcare quella porta. Sentivo le loro facce, la loro massa, il loro peso, i loro occhi ancor prima di averli intorno. Ma nel buio di quelle scale io sapevo che ti avrei trovato.

La porta era accostata. Era di legno pesante, importante.

Nemmeno la porta era una porta qualunque. E dava su un piccolo ingresso chiuso dove c’era un uomo in livrea con una maschera scura sugli occhi che si preoccupava di appendere il mio giaccone. Sotto quella maschera il suo sorriso era cordiale e mi ha indicato il corridoio dal quale proveniva la musica.

Non mi troverai mai.

Stavo iniziando a capire.

Lungo quel corridoio scuro e buio intravedevo persone e corpi nascosti dietro maschere barocche e costumi veneziani.

Non mi troverai mai.

Sentivo le loro voci, voci di ragazzi ubriachi, echi di volti divertiti, nascosti e irriconoscibili.

Man mano che arrivavo più vicino al salone mi sfilavano intorno gonne di raso, merletti, occhi nascosti dietro al trucco, trucchi nascosti dietro parrucche, parrucche che imbelliscono maschere, maschere che impreziosiscono costumi, costumi ottocenteschi che vestono corpi e corpi che sotto ad abiti preziosi da nobili veneziani si muovevano nel buio di un salone ancor più nobile e prezioso dove la musica, che pompava a tutto volume dalle casse, confondeva ancora di più i miei sensi.

E tu persa dentro quella casa.

Come un incidente, come la macchina di Nicole che si schianta sulla mia, come la violenza di un urlo, come un’onda quando non sai nuotare, quella dimensione mi stava investendo.

Apnea.

Sasha e la vita.

La vita, quella vera, quella normale, emozioni, tante, tutte insieme, troppe, il mondo grande, invadente e quello mio, piccolo. Il mondo fuori e quello dentro.

Nella penombra vedevo baci di forma e baci con la lingua, lingue che si intrecciavano, lingue che si intingevano nei bicchieri, che si intingevano in altre bocche e mani che si toccavano, che si sfioravano, che si strappavano.

Sentivo i bassi nella musica e quelli del mio cuore, ossessivi, incessanti, ma diversi, lontani, come me.

E sentivo che io ero fuori e loro dentro. Io fuori e lei dentro. Da qualche parte. Occhi di Benedetta dietro quale maschera vi nascondete? Quelle maschere sembravano animarsi intorno a me ed erano come occhi invisibili che mi guardavano e volti sconosciuti che mi studiavano.

Dov’è la tua maschera, Sasha?

Tu non hai nessuna maschera.

Ero nudo.

E non mi sentivo nudo perché non avevo quella maschera o quel vestito, ma perché non avevo quel loro stesso sorriso così superficiale e prezioso. Quel sorriso sarebbe sicuramente costato più del mio. Ero nudo perché sentivo di non assomigliare a nessuno di loro. Non avevo i loro sorrisi e non avevo i loro occhi, tanto leggeri da cancellarti.

I miei occhi erano spenti e non così luminosi. Avanzavo lentamente tra la gente nascondendomi nella penombra della sala.

Avevo gli stessi occhi che aveva Oliva quando da terra, ferita, mi ringhiava. E con quegli stessi occhi spaventati e minacciosi tenevo lontane le persone, cercavo Benedetta. Mi guardavo intorno ma lei non c’era. Lei non si vedeva. Solo io ero perfettamente riconoscibile.

E mi sentivo nudo in quella casa piena di putti, demoni e puttane. Conti e nobildonne.

Ora capisco perché eri così sicura. Ora che mi guardo allo specchio, rintanato in questo bagno, e mi trovo faccia a faccia con i miei mostri.

Gli occhi delle persone normali.

Quelli che ti giudicano e ti spogliano.

Respiro e inspiro profondamente e lascio che i suoni si facciano lontani e che gli occhi di Nicole mi tornino alla mente per cullarmi. Li vedo, mi sorridono leggermente piegati all’ingiù. Gli occhi di Nicole. Lei sapeva cosa mi sarebbe successo. Io no.

«È assurdo, mi sento come se andassi in battaglia.»

«Attento a non farti disarmare dalla paura.»

Nicole mi osservava e sapeva.

Io ancora no.

«Rivediamo un attimo il piano?» le avevo detto mentre mi alzavo dal suo divano già in preda alla tachicardia.

«Nessun piano. Vai, trovala e quando l’avrai trovata dille che hai seguito il suo odore.»

«E se non la trovo?»

«Se non la trovi non è amore.»

Gli occhi di Nicole mi riscaldano e le sue parole mi placano. Le riascolto come un disco rotto nella mia testa.

Ancora e ancora.

Così finalmente mi muovo verso la porta.

Io ti troverò.

Non mi troverai.

Mettimi alla prova.

Avanti, Sasha, mettiti alla prova. E se…

Ancora i miei se…

…e se adesso aprissi questa porta…

Se adesso la aprissi tu vedresti una persona che ti ama come ti ha mai amato nessuno.

La porta si spalanca sulla festa e in un attimo ritorno a sentirmi su quel cornicione dal quale immobile osservo la vita sotto di me.

Un ragazzo e una ragazza si baciano con foga davanti alla porta. Senza neanche guardarmi mi scansano ed entrano di furia nel bagno. Scivolano contro la porta continuando a baciarsi. Lei si inginocchia davanti a lui, gli sbottona i pantaloni, si sfila la maschera e la fa cadere per terra. Poi la porta si chiude.

E io ancora lì fermo su quel cornicione. Mi chino per raccogliere quella maschera nera e anonima. Me la infilo come se fossero un paio d’ali. Il mio viso sparisce e improvvisamente guardando da quel cornicione mi rendo conto che non ho più paura.

Ora ho ali per buttarmi.

Un passo e poi il vuoto.

Non sto precipitando. Sto volando, mentre fendo la folla.

Finalmente vedo senza essere visto e quei mostri, quelle persone che intorno a me sembravano giganti diventano una macchia informe e fuori fuoco. Colori che si mischiano, gesti che si confondono e anime che come acqua scivolano sul mio corpo.

Cammino cercando in quel quadro astratto un gesto, un profumo, una nota, una risata. Qualcosa che mi parli di lei, di Benedetta.

Devo avvicinarmi per vedere meglio. devo entrare dentro quel quadro e mischiarmi.

Destra, sinistra, avanti, dietro, poi, tra quei tanti colori, finalmente il dettaglio che cercavo.

Una mano che delicatamente accarezza un collo lungo e snello. La punta delle dita che scivolano su quella superficie. Un gesto che è carezza e protezione. Lo stesso gesto che Benedetta ha fatto quando entrando nella stanza del padre si è accorta di me, lo stesso gesto che quella mattina ha fatto quando si è accorta che la guardavo troppo a lungo.

Sopra quel gesto, le sue labbra morbide e i suoi occhi sono celati da una maschera pesante e bianca priva di espressioni.

Ma sei tu.

Non mi troverai mai.

Ti ho già trovato.

Ora che sono dietro di te sento e riconosco anche il tuo odore.

Lo sento, Nicole.

Adesso tutto si è fermato.

Adesso il mio cuore ha smesso di battere veloce.

Adesso mi sento pronto.

«Benedetta…»

Il suo viso si volta di scatto, ma riconoscendo la mia voce si impone un controllo. Quella maschera non mi impedisce di percepire la sua emozione, e dentro i due fori riesco a vedere i suoi occhi. Sorpresi e incantati, come lo sono i miei.

Poi in un gesto lento ma di resa la sua maschera che era sostenuta dalla mano cade leggermente scoprendo il suo viso emozionato.

«Come hai fatto?»

E la sua voce trema.

«Ho seguito il tuo odore.»

I suoi occhi brillano e mi sorridono riconoscendomi la vittoria.

«Domani parto per Londra. Riuscirai a sentirlo anche fin lì?»

…se tu potessi vedermi. Ma non mi toglierò la maschera. Non adesso.

«Mettimi alla prova.»

Benedetta mi osserva in silenzio. E i suoi occhi sono l’unica cosa che vedo a fuoco. Solo lei.

E a lei mi inchino per salutarla.

Poi come le mie ali legate alla testa mi allontano tra la gente e volo via.

“Parlami d’amore”, Silvio Muccino & Carla Vangelista

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