Quasi tutto o niente

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Yuschav Arly

“Quasi”.

È il cacciatore di taglie che aleggia sopra le nostre teste.

Che cos’è quel “quasi”?

Denaturiamo un avverbio della sua reale funzione e perfino del suo significato.

È essere quasi arrivati fin sulla vetta della montagna?

O si tratta di qualcosa di più semplice.

“È quasi finito l’olio.”

Questa è facile. Lo vado a ricomprare.

No, noi esseri umani siamo più complessi di così.

Quello è un quasi che vive al centro del vialetto della nostra casa.

“Ci sei quasi”, “è quasi finito un giorno”, “quasi quasi”, “quasi”.

Apre squarci composti da infinite possibilità a chi ha voglia di sapere.

Ci sono talmente tante cose che vorresti apprendere e quando pensi che non potrai mai saperle tutte, un po’ t’arrabbi.

Ma non puoi farci niente.

Immagazzini e dimentichi. O quasi.

Resta la traccia delle cose più importanti.

Non per questo la tua fame si placa.

Continuerai a cercare il significato delle cose, delle azioni, delle parole.

Non accetti un “è così e basta” di circostanza.

Proverai ancora a tentare di sapere.

Perdere.

Custodire.

È lo stesso “quasi” che ti condanna e ti fa amare le sfide.

Sempre contro ogni ragionevole dubbio.

Non smettere mai di guardare alle cose con vivace curiosità.

E se qualcuno ti chiederà il senso di tutto questo tu rispondigli che ti è costato molto dolore restare chi sei e nemmeno per un secondo ti sei mai pentito di questa decisione.

(Ritorni sempre sul tuo punto debole e più forte.)

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