“Quasi”.
È il cacciatore di taglie che aleggia sopra le nostre teste.
Che cos’è quel “quasi”?
Denaturiamo un avverbio della sua reale funzione e perfino del suo significato.
È essere quasi arrivati fin sulla vetta della montagna?
“È quasi finito l’olio.”
Questa è facile. Lo vado a ricomprare.
No, noi esseri umani siamo più complessi di così.
Quello è un quasi che vive al centro del vialetto della nostra casa.
“Ci sei quasi”, “è quasi finito un giorno”, “quasi quasi”, “quasi”.
Apre squarci composti da infinite possibilità a chi ha voglia di sapere.
Ci sono talmente tante cose che vorresti apprendere e quando pensi che non potrai mai saperle tutte, un po’ t’arrabbi.
Ma non puoi farci niente.
Immagazzini e dimentichi. O quasi.
Resta la traccia delle cose più importanti.
Non per questo la tua fame si placa.
Continuerai a cercare il significato delle cose, delle azioni, delle parole.
Non accetti un “è così e basta” di circostanza.
Proverai ancora a tentare di sapere.
Perdere.
Custodire.
È lo stesso “quasi” che ti condanna e ti fa amare le sfide.
Sempre contro ogni ragionevole dubbio.
Non smettere mai di guardare alle cose con vivace curiosità.
E se qualcuno ti chiederà il senso di tutto questo tu rispondigli che ti è costato molto dolore restare chi sei e nemmeno per un secondo ti sei mai pentito di questa decisione.
(Ritorni sempre sul tuo punto debole e più forte.)