Senza titolo ci sono io

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Toni Demuro

Ieri finalmente sono uscita.

Non per fare un’incombenza che non poteva attendere o per un improvviso terremoto, ieri sono uscita per ritrovarmi. Ero arrivata al mio fondale e non ce la facevo più.

Forse nemmeno me ne rendevo conto… continuavo a distribuire un po’ di forza qua un po’ là, senza badare troppo a me.

Poi è iniziato un inconsolabile malessere che non riuscivo a placare nemmeno scrivendo.

Avevo bisogno di una fuga, anche piccola piccola. Dovevo.

E così è stato.

Mi sono lavata, ho truccato un pochino gli occhi (non ho mai imparato ad avere un make-up da signorina) e ho messo il piede fuori dalla porta.

Ho salutato il vicinato inopportunamente assembrato, inadeguatamente appiccicati gli uni agli altri. Ho visto un ragazzo scendere dall’auto, la mascherina nera addosso. Ci siamo guardati per qualche istante, nessun motivo in particolare.

Volevo solo capire quanto potesse essere strano vedere volti “familiari”, facce sconosciute che vedi spesso ma che sembrano non avere più un volto. Avevo bisogno di una risposta.

Non mi ha fatto né bene né male.

Ho visto una persona, dopodiché ho distolto lo sguardo e ho continuato ad andare per la mia strada.

Detesto sentirmi fissata, detesto fissare gli altri.

Mi piace osservare ogni cosa – anche le persone – senza mai precipitare nell’invadenza.

Un passo dopo l’altro lungo la salita di casa, tra le strade tutte buche, le voci delle persone, le macchine… troppo poche per un tardo lunedì pomeriggio, troppe dopo tanto silenzio in città.

Alcuni avevano la mascherina, altri no.

Mi sono messa a fare qualche foto, nonostante mi sentissi un alieno. No, non per le foto. Per il vagare senza meta ovunque mi fosse possibile.

Si vaga senza meta in posti nuovi, lungo la riva del mare, tra le montagne, in un parco, in un bosco…

Non in posti che pensi di conoscere a memoria.

O almeno così credevo.

Strada facendo ho incontrato un ciclista senza mascherina, parlava con qualcuno, un suo amico – presumo dal volume alto della voce e il tono leggero – che stava dall’altra parte del cancello di casa.

Signor ciclista, lei da un pessimo esempio. Ho pensato.

Poi ho semplicemente cambiato marciapiede, senza timore, senza pensare a nulla, proseguendo lungo le vie e viuzze che mi si paravano davanti.

In lontananza ho sentito un “Vabbè, ma che avrò detto mai detto di tanto scandaloso…”

Non lo so, signor ciclista. Non stavo più ascoltando da un pezzo. Troppo immersa nel lungo vagare.

Inoltre lei non può saperlo, ma non sopporto neanche l’intromissione in cose che non mi riguardano.

Ho continuato a fare foto, né belle né brutte. Solo pezzi di mosaico, storie da inventare o luoghi da guardare e basta.

Nel mezzo c’ero io senza titolo.

Le converse rosse ai piedi, il giubbotto di pelle, i pantaloni a righe, i capelli sciolti e un po’ ribelli.

Sì, ogni tanto mi piace osare negli abbinamenti.

Non me ne frega niente, non voglio essere uno “stile”. Voglio restare un essere umano e basta.

Comunque non so perché sto scrivendo un così poco utile intervento… forse perché oggi mi sento stanca, ho dormito poco.

Mi sento come se la faccia si dovesse sciogliere da un momento all’altro e ho bisogno di riordinare i pensieri.

E non voglio essere ancora arrabbiata.

Non per arrendevolezza, non per farsi calpestare la dignità, non perché non ci sono alternative.

Oggi scelgo di non essere troppo frettolosa e di non sbattere porte in faccia, a patto che non ne vengano sbattute troppe a me. Non credo di aver fatto nulla per meritarle (non ora, almeno).

E’ vero che ad un certo punto la corda si spezza, tu cadi e arrivi con il culo per terra.

A volte con un po’ di fortuna i fili si rintrecciano.

Io poi non sono così sicura che siano intrecciati, reitrecciati, sfilacciati o mai uniti… confido in quel che sento e/o ricevo.

Non si può fare altrimenti.

Ti fidi o non ti fidi?

Mi fido e non mi fido.

Mi faccio male e mi richiudo svelta svelta a riccio. Ma se sento un po’ di sincerità allora provo a riaprirmi.

Quanto cazzo siamo fatti male? Solo per certi versi, intendo.

Non lo so. Non ho voglia di saperlo proprio oggi.

Comunque mentre stavo per rientrare mi è passata vicino (ma non troppo) una ragazza che portava a spasso il suo cagnolino.

Il cucciolone voleva avvicinarsi, io probabilmente avrei fatto più feste di lui (se non vogliamo considerare anche una cascata di coccole). Ho lasciato stare, purtroppo non era il caso.

Un sorriso da dietro la mascherina però l’ho fatto a entrambi. Anche i suoi occhi hanno sorriso.

Così, giusto per ricordarmi che siamo fatti come siamo fatti, che di base sono una persona gentile. Purtroppo e per fortuna.

L’importante è non confondere mai la gentilezza con la remissività o credere che sia sintomo di debolezza.

Anche la gentilezza, quando serve, ci mette poco a dissolversi per cedere il posto alla durezza della trincea.

Pensavo ieri.

Oggi è diverso.

Oggi senza titolo ci sono io.

Ma non si tratta né di un messaggio ricevuto per necessità, al quale devi rispondere per forza, seppur non vorresti. Non si tratta di tristezza e neppure del futuro.

Per fortuna c’è un piano b per quello. Per ricostruire tutto da zero.

Ormai non ricordo nemmeno più quante vite dobbiamo essere, distruggere e ricostruire da capo.

E non è una condanna, mi son sempre sentita viva così. La troppa immobilità mi assopisce l’anima.

Credo sia solo stanchezza.

Stasera vado a sognare presto (magari qualcosa di meno caotico, eh?).

Adesso basta, al solito ho scritto troppo, pensato ancora più a lungo e un po’ sospiro. Io e la mia buffa (ma non molto utile?) capacità di vedere qualcosa anche nel nulla cosmico.

In più ho voglia di qualcosa di buono.

In tanti sensi possibili.

#iorestoacasaelasciatemivaneggiareunpo’ ?

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