Starbucks in Italia ed è subito polemica

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Ci sono cose che vanno aldilà della mia comprensione, abbiamo l’imbarazzo della scelta tra le palme a Milano e l’accanimento contro l’apertura di Starbucks in Italia.

Ecco, questo era uno di quegli argomenti che volevo trattare da tempo ma di cui non avevo ancora avuto modo di tirare in ballo.

Il colosso statunitense del caffè si stabilirà a Milano, in Piazza Cordusio, nel 2018.

Dopo varie voci di corridoio, la conferma è arrivata dall’imprenditore Howard Schultz sbarcato qui per presentare il nuovo scintillante progetto con la premessa di chi sa cosa vuol dire aprire una caffetteria in un paese che del caffè ne ha fatto una vera e propria cultura: «Starbucks non viene in Italia per insegnare agli italiani come si fa il caffè. Non faremo questo, verremo qui con grande rispetto e umiltà dimostrando le nostre innovazione sul caffè.», ci tiene a precisare Schultz.

«Apriremo un negozio che catturerà l’immaginazione, ma prima di tutto proveremo il più possibile a guadagnare il rispetto e la fiducia del cliente italiano, noi dovevamo venire a Milano.»

Bisogna aggiungere che nonostante il pregiudizio tipicamente all’italiana permetterà a circa 350 persone di avere un lavoro, dando una possibilità anche ai più svantaggiati che arrivano da noi in condizioni disumane.

D’altro canto la Starbucks è nota per il suo impegno a favore dei 10mila rifugiati che hanno potuto iniziare ad affrontare la vita in maniera più dignitosa, come merita ogni essere umano.

Inoltre è doveroso ricordare che Schultz da figlio della classe operaia è diventato un fenomeno globale e oggi vanta di ben 75 paesi sparsi per il mondo in cui sono presenti 25mila caffetterie.

Partendo dal nulla, avviando inizialmente tre modeste attività.

«Nel 1983 quando sono venuto per la prima volta a Milano, ero giovane e Starbucks aveva solo tre negozi, camminavo per le strade della città e mi sono innamorato dei bar e del caffè italiano. Starbucks allora vendeva caffè per uso domestico, in America non esistevano l’espresso e il caffellatte. Io qui ho visto il senso di comunità e umanità in ogni bar e il rapporto che ha la gente col caffè.

La storia di Starbuck non è solo business ma anche umanità, è la storia di una azienda con valori seri e principi guida.»

Se volete approfondire il suo lungo e travagliato viaggio verso il successo, potete farlo a questo link:

Il successo di Howard Schultz

Nonostante questo si è abbattuta su questa notizia una valanga di polemiche, dagli utenti su Twitter ai giornalisti come Aldo Cazzullo del Corriere: «Innanzitutto l’Italia non è un Paese produttore di caffè, ma ha semplicemente istituzionalizzato e reso universale una maniera di gustarlo. L’espresso è italiano, come concetto anche culturale, oltre che come modica quantità con gusto forte. Starbucks non è famosa in tutto il mondo per l’espresso, per la tazzina all’italiana, ma deve la sua fortuna a prodotti più elaborati, dal Frappuccino al Caramel Macchiato, passando per i dolcetti e le bevande fredde al gusto di caffè.»

Arrivando addirittura a definirla “un’umiliazione per l’Italia”.

«Usa l’italiano perché è la lingua del caffè, ma non millanta produzioni italiane né sfrutta alcunché del nostro patrimonio alimentare e gastronomico. Non ha nulla a che vedere con l’orrido “parmesan cheese” made in Usa o made in China, così come non ha nulla a che vedere con i vinacci ultrachimici spacciati per italiani in improbabili angoli del globo. Starbucks non è una minaccia alla “cultura dell’espresso”, figuriamoci se è una umiliazione.»

Per poi concludere la sua crociata in questo modo…

«Abbiamo così tanti motivi per sentirci umiliati come italiani, che stracciarsi le vesti per un Caramel Latte bevuto di corsa dall’iconico bicchiere di cartone è francamente ridicolo. L’indignazione è un’arma indispensabile ma assai pericolosa. Ultimamente la si usa sin troppo e quasi sempre a sproposito, ma almeno evitiamo di renderci ridicoli conducendo “battaglie della tazzina” da Ventennio, fuori dal tempo e dalla storia, un anacronistico tentativo di difendere le patrie virtù da minacce inesistenti.»

Fortunatamente esistono anche piccoli produttori di caffè più inclini all’accettare il cambiamento, come un giovane imprenditore napoletano di nome Luca Carbonelli che vende le sue miscele in tutto il mondo grazie all’e-commerce: «Starbucks in Italia? Una benedizione.», è il suo parere.


«Ben venga la concorrenza, tanto più se innovativa. I più grandi difetti del made in Italy? Chiusura e presunzione.»

Carbonelli infatti non parla di cambiare il modo d’intendere il caffè in Italia ma semplicemente di ampliare i nostri orizzonti mentali e pure economici, oltre ad «ampliare maggiormente le loro visioni anche in un’ottica di contesto internazionale.»

Perché essere tanto contrari ai cambiamenti e soprattutto, se gli italiani sono così radicalmente tradizionalisti, come mai non si è alzato un polverone per tutte le altre multinazionali, che senza troppe storie, sono state accolte con sorprendente entusiasmo?

Diamine, un po’ di coerenza ogni tanto!  😉 

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