Gli stati d’animo di “E poi?”

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Potete vedere “E poi?” come uno strano scherzo del destino a cui è stato affibbiato un buffo nome, potete vederlo come un quesito aperto a millemila cose diverse o semplicemente per quello che è, uno stato d’animo. Anzi molti e tutti sempre diversi.

“E poi?”

E poi tantissime cose.

Alcune belle, alcune un po’ più complesse.

(Non tutto quello che leggerete risale alla data odierna, alcuni sono stati scritti nel corso delle settimane passate. Beh, non fate quella faccia. Son pur sempre attuali. Non parlo mica di tendenze io!)

Scherzi a parte, siori e siore…

Il momento è propizio.

Yener Torun
Istanbul in uno scatto di Yener Torun

– E poi?
– E poi il cielo squarciò il soffitto e vidi una bellissima fetta di luna in pieno giorno.
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E poi?
– E poi… niente. Ho deciso di passare oltre io.
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– E poi?
– E poi mi arrabbiai così tanto che pensai di gonfiarmi come un palloncino ed esplodere in mille pezzi. E invece…
– E invece?
– Mi trasformai in una serie di bellissime farfalle.
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– E poi?
– E poi gli dissi che se mi abbracciava il cuore così, stretto stretto, io non avrei più saputo pensare alle conseguenze.
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– E poi?
– E poi mancava l’assenza di paura? Cosa si era rotto o riaggiustato in lei?
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– E poi?
– E poi credetti di aver finito i baci, le carezze, le tenerezze. E poi si fece buio. E infine divenni buio anch’io.
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– E poi?
– E poi un giorno mi guardai allo specchio e dissi a quella me che ce l’avremmo fatta perché eravamo allenate da una vita ormai!
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– E poi?
– E poi siamo forti da soli finché non ci rendiamo conto di quanto sia dolorosa la solitudine di chi si sente un po’ scarabocchio, un po’ ritratto fatto a matita.
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– E poi?
– Poi siamo dovuti diventare forti. Ma forse in un “insieme” si potrebbe diventare invincibili.
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– E poi?
– E poi il tempo si è fermato nell’arco di un’emozione e io credo di aver sentito soltanto l’apocalisse più bella del mondo.
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– E poi?
– E poi depositai un bacio sulla lama del suo coltello.
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– E poi?
– E poi il segreto è che se non conosci la magia devi saperla inventare.
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– E poi?
– E poi lui era il campo di papaveri e io la ruspa. Signore, lei riesce a immaginare una catastrofe annunciata più sublime?
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– E poi?
– E poi disse “chissà”, si tramutò in una voragine e ci piombò dentro.
– Così, all’improvviso? Incurante di cosa avrebbe potuto trovare al suo interno?
– Sì, come le cose che non sai, ma le vuoi. Le vuoi soltanto accogliere.
– E se poi ti divorano?
– Che lo facciano pure.
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– E poi?
– E poi sorrise. Il sorriso più bello che abbia mai sentito. E forse fu un caso, ma spuntò qualche raggio di sole. Proprio laggiù, dove non ti aspettavi più di poterlo scorgere ancora.
Il cinico disse che non esisteva alcun segno. Che era solo una trovata dell’uomo perché sapere che gli dei ci proteggevano era meno spaventoso della cruda realtà.
Il romantico di corte disse che dovevo conservarlo, quel sorriso lì, perché ne avrei avuto un gran bisogno nei giorni senza memoria. Si sarebbe rivelata una piccola ancora di speranza in mezzo alla burrasca.
Il sospettoso disse che si trattava solo di una mera finzione. “Delirio lucido, giovane!”, affermò soltanto questo.
E ce n’erano molti altri. Solo che ad un certo punto smisi di ascoltarli. Mi godetti semplicemente il profumo di salsedine e la dolcezza che emanava quel sorriso. Senza troppi indugi.
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– E poi?
– Poi piantai un muso talmente grande da farlo arrivare fino alla fine della strada. Ero un po’ nera e un po’ giù, tanto da non voler dialogare nemmeno con me.
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– E poi?
– E poi oggi è uno di quei giorni in cui vorrei che la terra m’inghiottisse per non riemergere mai più. Come buio non mi sopporto proprio…
– Oggi non ti senti in gran forma, vero?
– Già. Forse avrei bisogno di un abbraccio, ma non lo ammetterei nemmeno sotto tortura.
– Puoi essere fragile, qualche volta.
– No, non posso proprio permettermi di andare in pezzi.
– E, allora, perché piangi?
– Beh, quando non mi vede nessuno posso farmi piccola piccola, nascondermi nel mio buio e concedermi un attimo di sofferenza.
– Stai dicendo cose molto contraddittorie tra loro.
– Sono nata contraddizione. È la mia condanna.
– Non ti pare di essere un po’ troppo drammatica?
– Forse un pizzico…
– Me lo fai un sorriso?
– Scusa, magari più tardi. Magari domani, magari non sorriderò mai più. Così nessuno si avvicinerà a me.
– Va bene, ho capito. Mi siedo qui accanto al tuo precipizio e aspetto che passi.
– Grazie.
– È il minimo indispensabile.
– Forse anche qualcosa in più.
– Forse sì.
—-
– E poi?
– E poi quando sono triste faccio finta di niente. E ascolto solo il suono delle crepe che si aprono dentro di me.
—-
– E poi?
– E poi mi hai fatto quella risata buffa e io ti ho abbracciato. Era buffa e tenera allo stesso tempo.
– Perché sapeva di spensieratezza.
– Sì, proprio quella.
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– E poi?
– E poi ci ricordiamo che la felicità è passeggera, che non è fatta per tutti, che bisogna accontentarsi dei piccoli attimi.
Poco prima di riprendere per mano il proprio buio.
Non ho la forza necessaria per affrontare troppe tempeste e tutte insieme.
Perciò sorrido e basta.
Come facevo prima, come ho sempre fatto.
Sorriso mentre torno dentro me.
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– E poi?
– E poi oggi mi sento abbastanza pacifica con me quindi va bene così (mi faccio pure qualche smorfia).
—-
– E poi?
– E poi dovremmo essere abituati alle assenze. A quelle che abbiamo sopportato, a quelle che siamo stati.
– Passerà anche questa, vedrai.
– Sì, lo penso anch’io.
– Ricordati solo di non far passare la lezione che ti è stata imposta.
– Non la dimenticherò. Nel frattempo però…
– Nel frattempo “mannaggia la miseria”.
– Non era passato quella frase lì?
– Ogni tanto mi piace riesumare le parole.
– Ti sorrido.
– Ora provo a fare la stessa cosa.
—-
– E poi?
– E poi accogliere e respingere. Scoprirsi un po’ spaventati. Voler essere meno impetuosi, più riflessivi. Non riuscirci e lasciarsi andare. Ma anche dirselo. Non dovevi andare via? Non l’ho saputo fare. Non riesco a resistere. A volte mi sento una completa idiota per questo. Non ci sono più molto abituata, a certe emozioni irrazionali che tanto faticosamente avevo messo a tacere.
E me ne accorgo solo dopo. Che forse aprire la porta mi terrorizza sopra ogni altra cosa, perché la caduta, senza paracadute, farà molto male.
Perché in fondo tu sai quello che adesso non metti più a tacere e un po’ ti incazzi per essertelo concesso.
Come quando hai tutti i sintomi del tuono, però non sai come ricongiungerti alla terra.
—-
– E poi?
-E poi scrivo. Quando sono felice, quando non trovo la via d’uscita, quando c’è un ricordo bello, quando ho paura, quando sono euforica, quando… Ne ho bisogno, capisce? È l’unica cosa che mi salva da me stessa, l’unica che abbia mai posseduto davvero.
—-
– E poi?
– E poi capii che la cosa migliore da fare era lasciare tutto com’era, senza troppi affanni, senza grandi aspettative.
– Dove volevi andare?
– Non lo sapevo ancora.
Persino la rabbia era svanita.
Bisogna solo comprendere quando un posto, per quanto possa essere accogliente e magnificente, non ti può appartenere in nessun modo. Non è il tuo posto sicuro.
E non era colpa di nessuno, a volte la vita era fatta anche di questo.
Bisognava rimettersi l’anima in spalla, magari donare ancora qualche fiore, scambiare qualche indicazione con un passante e riprendere il proprio cammino.
In fondo, mai da soli.
Sempre in compagnia di noi stessi.
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– E poi?
– E poi, è stato bello dialogare con te. Sei un grande ascoltatore e ti ringrazio per aver custodito queste mie parole.
So che hai ancora tanto da fare, perciò ho deciso di congedarmi.
Non dimenticarti di chiudere la porta prima di andare via.
Buon viaggio anche a te.
(Questo surreale articolo verrà aggiornato di volta in volta… fin quando sentirà il bisogno di continuare!)

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